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Le nostre Storie

Il prima e il dopo

di Osvaldo Faedo
Derivazione urinaria intestinale (neo vescica) metastatica.

Il Prima e il Dopo

Il prima

 Sono oltre sei anni che gioco una partita della vita a scacchi con il mio compagno di viaggio tanto indesiderato quanto subdolo, il carcinoma vescicale infiltrante G3. 

I miei primi 58 anni sono trascorsi senza particolari problemi di salute fino alla diagnosi che mi ha catapultato in una dimensione della vita nuova e oscura.

 Il tumore ancora oggi è un male che fa paura, destabilizza, è la peste del 21° e 22° secolo per chi non conosce e non vuole conoscere, molti hanno timore di parlare di tumore e preferiscono usare una perifrasi: il brutto male. 

 In questi sei anni ho reagito e combattuto cercando di anticipare ogni mossa di questo subdolo avversario. Lui si è manifestato e io ho risposto con una immunoprofilassi intravescicale con BCG che si è rivelata non responsiva.

 Lui ha cercato una mutazione passando da neoplasia vescicale G3 non infiltrante a neoplasia infiltrante T1-G3 e successivamente T2-G3; io ho risposto con una cistoprostatectomia radicale con linfoadenoctomia pelvica bilaterale e confezionamento di neovescica ileale a Y secondo tecnica Fontana nel luglio del 2010. Tre anni di calma apparente e nel 2013 “lui” è riuscito a rinascere al di fuori della neovescica in direzione del retto manifestandosi con una massa di 9x5x5 cm; ho risposto con chemioterapia e radioterapia riuscendo a ridurre il tumore ad un chicco di granturco.

 Questa mossa ha stordito il tumore senza debellarlo, infatti ad inizio 2015 la massa si è ripresentata nella configurazione antecedente. Dopo alcuni colloqui con la mia oncologa ed il Primario di urologia ho dovuto scegliere tra un intervento demolitivo della neovescica con stomia ed eventuale ulteriore intervento al retto o una soluzione medica oncologica provando un percorso chemioterapico sperimentale a Milano all’Istituto Nazionale dei Tumori. Ho scelto questa seconda opzione e mi sono affidato allo staff condotto dal dott. Necchi e composto dalla dott.ssa Giannatempo e dal dott. Raggi. Il giorno 13 marzo 2015 prima visita dal dott. Necchi che, dopo una rapida scorsa alle carte relative al percorso del tumore, mi ha convocato per il giorno 17, poi spostato al 19 marzo per un ricovero di 2 giorni in urologia per gli esami di PET, TAC e del cuore. Essendo risultato compatibile sono stato arruolato per la sperimentazione del farmaco ALISERTIB e mi sono stati consegnati i contenitori con le pastiglie. La cura consiste nel prendere 10 pastiglie al giorno per sette giorni, 20 giorni di riposo e poi si ricomincia… Ogni due mesi si ripetono PET e TAC per un controllo. Il 13 marzo, giorno della visita dal dott. Necchi, ho conosciuto il signor Edoardo Fiorini presidente dell’Associazione PALINURO, persona squisita, anche lui cistectomizzato, promotore e divulgatore di detta Associazione che mi ha visto immediatamente iscritto perché trovo interessanti le indicazioni didattiche verso altri pazienti della stessa area che possono attingere alle indicazioni e suggerimenti di chi ha già subito una cistectomia radicale. Facendo riferimento alla mia esperienza non posso che condividere lo spirito collaborativo e multidisciplinare che sta alla base dell’Associazione Palinuro e spero di riuscire a coinvolgere anche la struttura urologica dell’Ospedale di San Bonifacio della ULSS 20 di Verona dove ho fatto la cistectomia radicale.

Il tagliando della vescica e il dopo…

 Ho un ricordo ancora vivido di quando il dott Tallarigo Primario urologo dell’Ospedale Fracastoro di San Bonifacio (Verona), a seguito di una cistoscopia, mi ha comunicato che il nodulo trovato nella vescica era un carcinoma classificato T1-G3: era un giorno di settembre del 2009.

 Quelle parole suonavano come una sentenza, il tumore mi trasformava in un morto che cammina, tale era allora, la mia percezione. Lo smarrimento è durato il tempo per elaborare, pochi giorni, e poi da persona realista mi sono affidato al dott Tallarigo che mi ha sottoposto ad un trattamento endovescicale con  BCG nei mesi di dicembre 2009 e gennaio 2010 con risultati irrisori dato che già a marzo era ricomparso il carcinoma.

 A questo punto il dott Tallarigo mi ha consigliato la cistectomia radicale da farsi in tempi brevi per anticipare il tumore che poteva diventare infiltrante.

 In un colloquio avuto con il chirurgo mi è rimasta impressa una sua frase riguardo all’urgenza della cistecmomia radicale: “…è meglio

operare una vescica ancora sana piuttosto che aspettare che si ammali per un’azione infiltrante del carcinoma…”.

   L’operazione è stata programmata per il 2 luglio 2010 ed il ricovero è avvenuto il primo luglio, il mio primo giorno di pensione...

   Ricordo che ho chiesto di essere ricoverato il pomeriggio del primo luglio per avere l’illusorietà di iniziare la pensione da “sano”…, la sera stessa mi ha fatto visita il dott. Tallarigo, mi ha invitato a sedermi senza la maglietta e di piegarmi in avanti per individuare le pieghe dell’addome e poi con un pennarello indelebile mi ha fatto un segno all’altezza dell’ombelico sul lato sinistro. La curiosità è stata subito appagata: il segno indicava l’eventuale uscita della stomia uretale (un sacchetto esterno per le urine), nel caso non fosse stato possibile impiantare la neovescica. 

Già in precedenza nei colloqui avuti con il chirurgo avevo manifestato la mia riluttanza nei confronti di un sacchetto esterno e in 

quel momento vedevo materializzarsi il mio incubo. 

L’operazione è andata bene, Verona e Padova sono famose nel campo urologico specie per il confezionamento della neovescica (VIP). Sono entrato in sala operatoria alle ore 7,30 e sono uscito verso le 14. La prima notte dopo l’operazione l’ho trascorsa in terapia intensiva per una emorragia post operatoria e dopo 22 giorni sono stato dimesso con l’invito a seguire un corso fisioterapico per imparare ad usare il pavimento pelvico come aiuto alla minzione. 

 La degenza post operatoria, all’inizio è stata problematica data la posizione supina stabile, la schiena mi doleva e ho chiesto un cambio materasso. Mi è stato assegnato un materasso antidecubito e il sollievo è stato immediato e permanente.

 Leggendo “La Prova del Nove” di Edoardo Fiorini, ho rivissuto come un dejà vu tutte le sue esperienze a cominciare dall’amicizia con il suo chirurgo e i rapporti di sincera cordialità con il personale infermieristico. 

 Durate i 22 giorni post operatori ho avuto modo di apprezzare le capacità professionali e umane di tutto il personale che quotidianamente ci seguiva e di rinsaldare la conoscenza con il Primario dott Tallarigo che è sempre stato disponibile anche fuori l’orario ospedaliero. 

 La prima cosa che ho notato della neovescica è stata la grande quantità di muco che produceva, produzione giustificata dall’essere un pezzo di intestino che continuava a comportarsi come tale. Questa neovescica così esuberante mi ha creato diversi problemi il  dopo solo un mese dalle dimissioni. 

 Il pomeriggio di una domenica di agosto non riesco ad urinare, la neovescica è piena, ho lo stimolo ma non esce nulla: panico!   Mi faccio trasportare velocemente dalla moglie in ospedale al pronto soccorso dove il medico, saputo della neovescica, non fa nulla e mi dirotta in urologia dove dopo sofferenza e paura un giovane urologo mi cateterizza e finalmente svuota la neovescica di ben 750 cc. 

Considerando che la neovescica ha una portata di 350/400 cc ho dovuto tenere il catetere per 4 giorni per precauzione. Questo primo incidente mi ha fatto capire che da quel momento avrei dovuto informarmi e capire cosa mi sarei aspettato nel prossimo futuro. Infatti con una cadenza di 4/6 mesi venivo ricoverato per pulire la neovescica da muco e piccoli calcoli con cistoscopie. 

 I 20 mesi successivi l’operazione li ho trascorsi nel capire il comportamento di questo organo restaurato, le sue esigenze, le mie difficoltà. Mai ho pensato che avrei avuto una vita sociale dimezzata e forte di ciò,  non ho mai avuto difficoltà a parlare del tumore e della neovescica come una malattia qualsiasi, condividendo il mio pensiero con amici e famigliari. La conoscenza della malattia, la condivisione con consapevolezza e normalità di situazioni anche imbarazzanti è la premessa per saper gestire ogni situazione e mettere a proprio agio gli interlocutori.

I reduci da una cistectomia radicale, nel decorso post operatorio devono famigliarizzare con un organo diverso dal precedente ma che adempie onorevolmente alle sue funzioni. E’ importate imparare ad adoperare il pavimento pelvico per strizzare la neovescica e per rinforzare le fibre muscolari residue in modo da combattere l’incontinenza urinaria. 

Nel 2010 non c’era molta letteratura a tal proposito e una volta dimesso ho fatto un corso di  biofeedback, che è una fase del trattamento riabilitativo assai importante. 

L'apparecchiatura impiega la stessa sonda rettale con elettrodi ad anello impiegata per la SEF (Stimolazione Elettrica Funzionale) in aggiunta si posizionano tre elettrodi di superficie sull'addome, due in senso longitudinale sui retti ed uno sulla cresta iliaca. La metodica è rappresentata da un'informazione fornita mediante stimolazione acustica e visiva registrata su di un monitor posto davanti al paziente. L'interfaccia grafica propone degli ostacoli che il paziente potrà superare mediante la contrazione dei soli muscoli del pavimento pelvico, infatti, non riuscirà a superare gli ostacoli se utilizzerà i muscoli addominali. Attraverso tale metodica egli prende coscienza del comportamento delle sue funzioni biologiche ed in particolare della corretta contrazione del pavimento pelvico. Anche per questo trattamento la fase di lavoro ha una durata totale di 20 m'. con sedute bisettimanali di un ciclo di circa 20 sedute, inoltre alla 10° seduta ed al termine viene eseguito un pad-test di verifica. La durata totale del trattamento è di circa 3 mesi.

Ciò che mi ha permesso di condurre una vita relazionale normale è stato l’autocateterismo. Questa tecnica normalmente viene adottata nei pazienti con neovescica  ileale  dove  si  osserva  un  importante  residuo  post  minzionale  (residuo >200cc) determinato dall'incapacità di svuotare il neoserbatoio. 

 In particolare bisogna imparare la tecnica del C.I.C. (Clean Intermittent Catheterization) o cateterismo intermittente pulito metodica che viene eseguita attenendosi alle regole principali dell’igiene personale e che viene praticata generalmente in ambienti controllati come ad esempio la propria abitazione. Il C.I.C. consente al neoserbatoio, di svolgere le proprie funzioni attraverso uno svuotamento completo, periodico e programmato. L’assenza di sterilità non deve preoccupare, il continuo sondaggio elimina i batteri con una frequenza più elevata di quanto essi si riproducano.

Infatti, il C.I.C. elimina la stasi, riduce in maniera considerevole i rischi d’infezione, incide favorevolmente sull’evoluzione dell’apparato urinario superiore (reflusso, dilatazione, danno renale).

Durante l'addestramento si provvede a scegliere il catetere della "giusta misura” che in genere è lubrificato e di calibro 12-14

 Ch, la frequenza dell’autocateterismo è subordinata alla capacità o meno del paziente di svuotare il neoserbatoio. 

In sostanza il C.I.C. riunisce il pregio dell’efficacia terapeutica a quello della semplicità di esecuzione e di gestione, inoltre, altro elemento positivo da considerare, è che il peso economico del trattamento non è a carico delle famiglie, in quanto l’attuale nomenclatore consente la fornitura gratuita del materiale. 

Personalmente ho scelto un catetere di calibro 12 per un autocateterismo di necessità. Come precedentemente scritto, la mia neovescica ha sempre prodotto muco in grande quantità con conseguente ristagno, formazione di calcoli e occlusione dell’uretra; con queste premesse non avrei mai potuto intraprendere un viaggio e la mia autonomia sarebbe stata molto limitata, la scoperta dell’autocateterismo mi ha cambiato ogni prospettiva; cene, gite, viaggi in Italia e all’estero sono diventati possibili e fattibili. Con le dovute precauzioni di igiene ho fatto autocateterismo in volo, in treno, nei bar di Parigi e Lisbona, nei pub di Londra etc…. Autocateterismo di necessità è quel tipo di autocateterismo che supplisce ad una non minzione causata da ostruzione o da stenosi del canale uretale.

Una variante di questa metodica di autosufficienza per “stappare” l’uretra e poter urinare consiste nel distendersi in modo supino a terra, su di un letto o su di un ripiano, alzare le gambe perpendicolari al piano e spingere il bacino verso l’alto per circa 10 secondi. In questo modo sfruttando la gravità l’eventuale grumo di muco o il calcolo cadrà nel serbatoio liberando l’ingresso dell’uretra permettendo di urinare senza dover usare il catetere. 

Nonostante i corsi di Biofeedback ho solo migliorato l’incontinenza diurna mentre quella notturna la fa da padrona. Durante il giorno uso quei piccoli pannolini a forma di conchiglia per assorbire eventuali perdite di gocce, la notte devo usare un Pannolone a forma di striscia trattenuto da una mutanda elastica. Ciò è la conseguenza di diverse cistoscopie per pulire la neovescica. 

L’uso dei pannolini di giorno e dei Pannoloni la notte non rientra nella prassi normale ma ho imparato che adattarsi serve per gestire al meglio ogni modificazione dei nostri ritmi. Usare il pannolino a conchiglia di giorno, non comporta nessun disagio, aiuta l’igiene assorbendo quelle piccole perdite dovute a sforzi momentanei. Diverso è usare il pannolone la notte perché le prime volte è disagevole, ingombrante e nei periodi estivi particolarmente fastidioso, ma se le perdite sono consistenti è l’unica soluzione. Ovviamente non tutti i cistectomizzati approderanno a queste soluzioni, la mia incontinenza notturna è dovuta ad una serie di fattori che hanno portato il chirurgo a dover incidere nel punto di giunzione tra neovescica e uretra oltre il dovuto perché a distanza di anni si formavano calcoli in neovescica che a volte, nel tentativo di espellerli si incastravano nella stomia 

uretale. 

Tutto ciò è il mio dopo: dopo la consapevolezza di avere un tumore, dopo la cistectomia radicale, dopo due recidive, dopo l’inizio di una cura sperimentale con ALISERTIB, dopo le paure ma anche la consapevolezza che si può affrontare il tumore con fiducia e pragmatismo. 

E’ mia intenzione arricchire queste poche pagine nel tempo a venire, per fornire un modesto contributo all’Associazione Palinuro. 

Osvaldo Faedo 

L’amico Osvaldo Faedo ci ha lasciato a fine 2015. Il suo memoriale continua però a vivere nel nostro sito a testimonianza della sua voglia di vivere, della forza con cui ha affrontato la lotta contro il tumore e del suo altruismo verso i nuovi pazienti a cui ha sentito il bisogno di raccontare la sua storia di speranza. 


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