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Dott.Daniele Romagnoli
La derivazione intracorporea: tutto dentro grazie al robot!

Dicembre 2022

L’intervento di cistectomia radicale rappresenta una delle procedure più complesse in Urologia, appannaggio dei Centri di maggiore volume e dei Chirurghi di esperienza ben consolidata. Quando il tumore della vescica infiltra lo strato più profondo dell’organo, oppure non risponde ai trattamenti endoscopici, si rende necessario l’asportazione dell’organo, assieme alla prostata nel maschio ed agli annessi (utero ed ovaie) nella donna.

Una volta completata la asportazione di queste strutture e dei linfonodi regionali (fase demolitiva), occorre ripristinare la via urinaria, per consentire al paziente di urinare. Questa fase, chiamata di “derivazione urinaria”, può essere realizzata in varie modalità e tecniche, che prevedono il ricorso a soluzioni continenti (neovesciche) oppure non continenti (i famosi “sacchetti” o stomie urinarie).

Si tratta di una fase estremamente importante della procedura, in quanto viene realizzata la nuova via urinaria del paziente, che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Non solo: la maggior parte delle complicanze dell’intervento (che arrivano sino al 40% in Letteratura) è proprio legata a questo momento, a causa della complessità delle ricostruzioni, che prevedono il ricorso a numerose suture ed a tecniche raffinate.

La chirurgia robotica, grazie alla sua minima invasività ed alla massima precisione garantita dalla piattaforma robotica, ha rivoluzionato la chirurgia, in particolare quella urologica. Anche la cistectomia ha beneficiato di tale tecnologia, e, dalla sua prima descrizione nel 2003, la cistectomia robotica si è progressivamente diffusa e migliorata, al punto da essere stata dichiarata, dalle ultime Linee Guida della Associazione Europea di Urologia (EAU), come equivalente in termini di efficacia oncologica e profilo di sicurezza rispetto al classico intervento “a cielo aperto”.

Mediante 6 piccole incisioni nell’addome vengono introdotti gli strumenti miniaturizzati del robot all’interno del paziente, si gonfia l’addome con anidride carbonica per creare la camera di lavoro ed il Chirurgo procede all’intervento.

Mentre agli inizi la fase di ricostruzione veniva eseguita, vista la elevata complessità della stessa, mediante una incisione nell’addome che consentiva di lavorare “ a cielo aperto” (vista la maggiore esperienza dei Chirurghi di allora con tale approccio, e si parla di derivazione “extracorporea”), si è progressivamente affermata la possibilità di ricostruire la via urinaria direttamente all’interno del corpo del paziente, realizzando pertanto una derivazione confezionata in ambiente “totalmente intracorporeo”.

Questo ha permesso di migliorare ulteriormente i risultati funzionali di questa procedura, in virtù di tutta una serie di vantaggi per il paziente. In primis, il fatto di non esporre l’interno del corpo al contatto con l’ambiente esterno permette di ridurre gli squilibri dei fluidi interni tipici della chirurgia a cielo aperto. Non solo, le manovre eseguite con gli strumenti robotici sono estremamente delicate, e viene pertanto notevolmente ridotto il trauma sulle strutture (come le ansa intestinali) che, tradizionalmente, venivano gestite “ a mano” dal Chirurgo (per quanto dotato di un tocco leggero…). Inoltre, la maggiore precisione garantita dalla visione robotica (si pensi che l’ingrandimento è di circa 12 volte rispetto al normale…in pratica si opera al microscopio!) permette la realizzazione di suture raffinate, complesse, e stagne sin dal principio…un fattore estremamente importante quando si ha a che fare con un liquido come l’urina!

Analizzando gli studi in Letteratura riguardanti le derivazioni intracorporee, si ha la conferma di quanto sopra esposto e dell’impatto vantaggioso per i pazienti: nei Centri che adottano questo tipo di approccio i pazienti recuperano prima la motilità intestinale e sperimentano una minore percentuale di complicanze postoperatorie, grazie al fatto che la ricostruzione urinaria avviene direttamente all’interno, nell’ambiente più protetto che ci sia (il corpo stesso del paziente!). Questo si traduce in una minore durata della degenza in ospedale, in un minore tasso di ricoveri per complicanze, ed in un più rapido ritorno alla vita di tutti i giorni.

Non bisogna comunque dimenticare la importanza del Centro cui si fa riferimento: per avere questi ottimi risultati occorre rivolgersi a Centri di esperienza, con Chirurghi esperti e con un team dedicato, sia in Sala Operatoria che in Reparto…non basta solo un pilota esperto per vincere una gara, serve anche una squadra all’altezza.

Alla luce di quanto detto, possiamo ribadire che la robotica ha pertanto aggiunto un altro valore ai suoi già innumerevoli vantaggi: la possibilità di eseguire la intera procedura di cistectomia radicale all’interno del corpo del paziente…un vero e proprio “all in” nella lotta alla patologia vescicale, per sconfiggere questo tumore così devastante con un trauma il più possibile contenuto per il paziente!

Il punto di vista di un chirurgo che la pratica e quello di uno che opera con i sistemi tradizionali.

Aprile 2020

Parlando di cistectomia radicale, l’intervento più complesso nella chirurgia urologica, la prima considerazione necessaria prescinde dall’uso robot, ma deve riferirsi alla qualità del chirurgo preposto   all’intervento.   È evidente che la scelta di un chirurgo di comprovata abilità deve anteporsi al vincolo del “voglio essere operato con il robot!”, a tutti i costi, come spesso sentiamo affermare da persone candidate alla chirurgia.

A questo proposito abbiamo voluto e confrontare il pensiero di due urologi che operano con i due diversi orientamenti professionali.

La premessa è che per le persone anziane o con comorbidità è comunque necessario tenere presente che la durata di un intervento con la robotica richiede una durata più lunga e che pertanto anche i tempi dell’anestesia devono essere prolungati con potenziali rischi neurologici che comunque un buon chirurgo esperto in robotica saprà valutare prima di prendere in carico un paziente per questa tecnologia.

Le conclusioni danno un sostanziale allineamento sui principi di base e danno comunque ragione ad un futuro dove la robotica è destinata ad assumere un peso dominante nelle metodologie chirurgiche. Ad oggi il robot è da considerarsi ancora giovane: è stato introdotto solo una dozzina di anni fa e i chirurghi veramente abili in questa pratica appartengono alle nuove generazioni e pertanto con una curva esperienziale meno consolidata rispetto a quelli che operano ancora con metodo tradizionale. Molti di loro devono ancora farsi esperienza e, per questo, ci vogliono anche tanti pazienti.

Allo stato attuale il numero di quelli che hanno uno standard qualitativo accettabile è ancora relativamente basso. Pertanto, anche per questa ragione, è indispensabile affrontare la scelta della robotica facendo le dovute considerazioni sul “curriculum professionale” del medico preposto all’intervento.

Prof. Angelo Porreca
4 anni di chirurgia robotica

Per il chirurgo esperto in robotica ci sono solo vantaggi: minore invasività, maggiore precisione, tempi di degenza più brevi, contenimento dei traumi post-operatori e più rapido accesso alle terapie di riabilitazione post-chirurgica.

L’intervento di cistectomia radicale può essere svolto con approccio a minima invasività mediante l’utilizzo della piattaforma robotica.

I vantaggi di tale metodica comprendono:

  • un ridotto trauma ai tessuti, in quanto non vengono praticate grandi incisioni sulla parete addominale e la manipolazione dei visceri è estremamente delicata;
  • una accurata dissezione, in quanto il Chirurgo opera mediante una telecamera che permette una amplificazione del dettaglio di dodici volte rispetto al normale, consentendo di risparmiare le strutture non coinvolte dal tumore;
  • la possibilità di ricostruire la via urinaria, configurando un serbatoio continente (neovescica) oppure non continente (condotto ileale), direttamente all’interno del corpo del paziente, senza esporre all’ambiente esterno i visceri, riducendo ulteriormente l’impatto dell’intervento sull’organismo.

Il ricorso alla piattaforma robotica permette di modulare l’intervento in funzione del paziente: il paziente giovane beneficerà di un trattamento, quando oncologicamente corretto, altamente risparmiativo, con preservazione delle strutture deputate alla continenza urinaria ed alla erezione, mentre il paziente anziano trarrà beneficio dal basso trauma tissutale garantito dall’approccio robotico, ottenendo pertanto una significativa riduzione dello stress chirurgico connesso all’intervento ed un rapido recupero nel postoperatorio.

La possibilità di eseguire dissezioni ultrafini riduce significativamente il tasso di sanguinamento sia intra che postoperatorio, pertanto i pazienti sottoposti a procedura robotica raramente vengono sottoposti ad emotrasfusioni. Un altro vantaggio connesso alla precisione garantita dalla visione robotica è dato dalla possibilità di confezionare nuovi serbatoi per le urine, realizzati a partire da segmenti di intestino esclusi dal tratto digerente, mediante suture a tenuta ermetica sin da subito, senza incorrere pertanto nel rischio di spandimenti (fistole) di urina all’interno del corpo del paziente.

Ulteriore beneficio di tale tipo di approccio è la assenza di grandi incisioni addominali (laparotomie), che sono spesso responsabili di ernie postoperatorie (ernie e laparoceli). Infatti, gli strumenti robotici entrano nel corpo del paziente attraverso millimetriche incisioni praticate nell’addome, che per le loro ridotte dimensioni presentano un basso rischio di sviluppo di ernie e soprattutto un pressoché assente rischio di infezioni della ferita chirurgica

Il ridotto trauma tissutale garantito dall’approccio robotico consente un rapido recupero postoperatorio: i pazienti, infatti, già a 6 ore dall’intervento possono sedersi e successivamente muoversi, ripristinando in breve tempo la propria autonomia. Questo consente di ridurre le complicanze di tipo cardio-polmonare ed infettivo connesse all’allettamento, e di permettere ai pazienti, nell’arco di massimo una settimana dalla procedura chirurgica, di poter acquisire un grado di autosufficienza tale da permetterne la dimissione in condizioni di piena sicurezza.

L’utilizzo di protocolli pre, intra e postoperatori di riabilitazione avanzata (ERAS), permette di incrementare ulteriormente questo rapido recupero, al punto da essere parte integrante dei programmi di chirurgia robotica.

Infine, il rapido ritorno all’autonomia nelle attività quotidiane garantito dalla chirurgia robotica consente, a quei pazienti con malattia avanzata a livello locale, oppure diffusa a livello sistemico, un precoce accesso alle terapie post-operatorie (radioterapia, chemioterapia), permettendo pertanto di guadagnare tempo prezioso.

Prof. Massimo Maffezzini
25 anni di Cistectomie Radicali con metodo Tradizionale

Il pubblico percepisce una immagine del robot come il simbolo di un sapere superiore trascendente rispetto alla finitudine umana, mentre l’immagine della chirurgia finora conosciuta è il simbolo di un sapere statico, da collocare nel passato .... "

 

Abbiamo osservato con attenzione ed entusiasmo l’introduzione della chirurgia assistita dal robot avvenuta ormai più di una dozzina di anni fa. Abbiamo riconosciuto i punti deboli metodologici della sua diffusione non selezionata, ovvero, è stato venduto a chiunque potesse permettersene l’acquisto senza altra selezione, e in alcune aree del mondo, incluso il nostro paese, una diffusione ampiamente sovradimensionata rispetto alle esigenze obiettive. Questo unitamente al fatto che il produttore, egemone sul commercio con chiare finalità di profitto, ha prodotto una pubblicità non controllata ed ha fatto registrare una estensione delle indicazioni.

Abbiamo altresì riconosciuto che nelle applicazioni riguardanti la nostra chirurgia specialistica, la chirurgia urologica, ci sono interventi in cui il robot permette risultati migliorativi rispetto alla chirurgia tradizionale (ad esempio la chirurgia conservativa dei tumori del rene), altri in cui il vantaggio è meno netto (ad esempio la chirurgia prostatica) ed altri ancora in cui robot non ha ancora trovato la sua applicazione, o attualmente ha una applicazione sporadica e sulla quale i dati a disposizione sono ancora incerti (la chirurgia demolitiva della vescica a la sua ricostruzione).

La chirurgia, ogni tipo di chirurgia, non ha il 100% di risultati positivi. Più in generale, il 100% in biologia non esiste. Pertanto, succede che qualcosa non vada come ci si aspetta e in seguito all’intervento il paziente sviluppi quella che chiamiamo una complicanza, cioè un evento che interferisce a vario livello con la guarigione ritardandola, o creando la necessità di ulteriori interventi e cure, prolungando la degenza e ritardando la riabilitazione o limitandola. Anche la chirurgia robotica, inevitabilmente, comporta un rischio di complicanze che sono state descritte.

Un fattore centrale nel generare il rischio di complicanze è determinato dalle condizioni generali preoperatorie del paziente. Nelle ultime decadi l’aspettativa di vita, ovvero gli anni di vita prevedibili per un individuo, è andata aumentando in modo progressivo.  Oggi maschi e femmine possono contare su una aspettativa di vita che supera ampiamente gli 80 anni! Ma c’è un prezzo da pagare, attenzione. E’ un prezzo biologico quello a cui alludo, ovvero, l’aspettativa di vita globale è aumentata, ma è diminuita quella che definiamo aspettativa di “vita sana”, ovvero la vita che non ha bisogno di farmaci, cure  e controlli cronici per contrastare una malattia che potrebbe essere fatale e ridurre l’aspettativa di vita (malattie cardiovascolari, diabete, neurologie acute e degenerative, malattie respiratorie, malattie che interferiscono con i meccanismi di coagulazione del sangue, ecc).  Pazienti con queste caratteristiche sono proprio quelli che oggi, anzi da svariati anni, sono prevalenti negli ospedali più grandi. Molte di queste patologie coesistenti alla patologia urologica non sono compatibili con l’uso del robot.

Non mi sono mai dedicato alla chirurgia robotica per vari motivi, il più vincolante dei quali è che la mia attività prevalente è stata costituita da un tipo di chirurgia che non è eseguibile con il robot per estensione, complessità, numero di organi coinvolti, volume del campione chirurgico da rimuovere e necessità di ricostruzione. Se prendiamo ad esempio la chirurgia demolitiva della vescica e la ricostruzione di uno scarico dell’urina abbiamo un intervento in cui la chirurgia robotica non si è diffusa, se non sporadicamente, ed è ancora considerata nella sua fase sperimentale.

Dalla chirurgia robotica abbiamo preso il principio della mininvasività ed abbiamo sviluppato un approccio più contenuto rispetto alla cistectomia radicale standard. Il principio concettuale è che la tecnica chirurgica della cistectomia radicale è stata messa a punto ormai molti anni fa, quando l’età media dei pazienti era di molto inferiore a quella dei pazienti attuali, ed erano praticamente privi di patologie concomitanti. Pertanto, l’obiettivo della chirurgia era conferire al paziente il massimo delle possibilità di sopravvivenza, 10 anni oltre l’intervento. Ci è piuttosto chiaro che per un paziente di età avanzata, affetto da patologie concomitanti che richiedono cure quotidiane, croniche, e candidato a cistectomia, l’obiettivo concettuale della chirurgia è quello di privarlo di una causa competitiva di mortalità costituita dal tumore della vescica, ma creando l’interferenza minore possibile con la sua vita ed accelerando al massimo il recupero funzionale ed il ritorno alla sua vita precedente l’intervento.  In sintesi, non più la massima sopravvivenza possibile a 10 anni bensì la minima interferenza possibile con il percorso della sua vita.

E quindi limitiamo il gesto chirurgico al raggiungimento di questo secondo scopo, e cioè dall’incisione cutanea, all’isolamento della vescica senza interrompere la continuità della membrana del peritoneo che avvolge tutti i visceri più delicati dell’addome, tranne la vescica e la prostata, limitando l’asportazione dei linfonodi solo se macroscopici, et similia. Per la ricostruzione di uno scarico per le urine diamo la priorità alle ricostruzioni elementari che comportano il rischio statisticamente minore di complicanze generiche e specifiche.

In questo modo abbiamo operato numerosi pazienti che erano stati giudicati inoperabili prima, per il rischio elevato di complicanze. Stiamo raccogliendo le caratteristiche di ciascuno e presto saranno due anni dall’inizio, è un primo momento per una analisi.

Per concludere credo che tutti i chirurghi siano stati toccati dall’introduzione del robot, e personalmente è stata una motivazione ulteriore per accrescere gli standard di qualità miei e dei chirurghi che lavorano con me.

Prof. Angelo Porreca
Quando un chirurgo che opera in robotica può dare fiducia

Un neofita deve iniziare da altri interventi robotici tipo la prostatectomia e deve accedere alla cistectomia dopo aver fatto almeno 100 prostatectomie con il robot.

Per quanto riguarda la curva del ciclo di apprendimento di un chirurgo che si approccia al robot lo stadio di maturità viene raggiunto attraverso un buon training (addestramento) e pertanto un abile tutor (chirurgo che fa cistectomie robotiche di routine).

Questa maturità (abilità consolidata) più che in anni viene raggiunta in termini di qualità dell’addestramento. È una buona pratica iniziare l’esperienza robotica con un training specifico in cistectomia robotica affiancando un tutor esperto per almeno 20 casi.

Senza esperienza robotica è impossibile affrontare la cistectomia con il robot.

Avere esperienza robotica, ma senza tutor sulla cistectomia, può allungare moltissimo la curva a scapito dei pazienti. Oggi non è più ammissibile il “fai date” da parte di alcuni urologi, considerato la disponibilità sia di tutor e che di esperienza. Quindi il mix fondamentale per un buon risultato chirurgico è la scelta del centro di chirurgia robotica con un tutor specifico per cistectomia, in questo caso anche questo intervento complesso diventa semplice.

Questa pratica formativa vale anche per i chirurghi esperti che da pratica tradizionale desiderino passare alla robotica: prima interventi sulla prostata e poi sulla vescica, se hanno tanta esperienza vanno più veloci, ma se vogliono saltare i passaggi sopra indicati faranno sicuramente più danni che cose buone.

Chi si butta a fare cistectomie robotiche senza un percorso fatto bene fa sicuramente danno, per poi dare la colpa al robot.

Spesso purtroppo, da parte di diversi urologi, manca la mentalità oncologica e si considera l’intervento come un esercizio: se ci riescono sono bravi altrimenti è colpa del paziente, del robot o di qualcos’altro!

La chirurgia è invece diligente formazione. Se sei formato puoi prevedere il risultato al 99 per cento e il limite dell’improvvisazione è talmente basso che il paziente viene sempre curato al meglio possibile. Purtroppo con la scusa dell’intervento “urgente” nella cistectomia si fanno ancora tante scelte improvvisate e i pazienti ne pagano le conseguenze.

Per concludere il prof. Angelo Porreca afferma: “Assolutamente meglio mille volte un buon intervento open (tradizionale) che un cattivo intervento robotico: se improvvisato diventa un disastro”.

Prof. Massimo Maffezzini
La competenza nella gestione della robotica non deve prescindere dalla capacità di operare anche a “cielo aperto”

Dato che nella maggior parte dei Centri Maggiori la chirurgia robotica è molto sviluppata, altrettanto la formazione dei chirurghi giovani è in prevalenza orientata alla robotica. Gli esperti in chirurgia convenzionale sono i chirurghi "vecchi" e la loro sostituzione, quando lasceranno per pensionamento, vedrà una prevalenza di chirurghi formati "in primis" attraverso il robot. Sarebbe utile introdurre nella formazione, non solo nelle scuole di specializzazione, ma anche in seguito, la possibilità per chi lo richiede di trascorrere periodi di training nei centri dove si pratica la chirurgia tradizionale. Una alternativa interessante, già allo studio presso alcuni paesi stranieri, prevede di spostare le equipe chirurgiche (e non i pazienti) tra ospedali che abbiano formato consorzi “ad hoc”.

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