Anche la vescica può ammalarsi di tumore, e si può ammalare la mucosa, ovvero, la tappezzeria interna che si chiama uretelio e riveste l’interno dell’apparato urinario, dal bacinetto renale all’uretra. Il tumore, da lì, può penetrare la parete muscolare. I tumori che insorgono sulla mucosa rappresentano la maggior parte dei tumori, mentre quelli che interessano la muscolare sono meno frequenti. In base proprio alla “profondità” che il tumore raggiunge nella parete dell’organo abbiamo due tipologie principali:
- CARCINOMA UROTELIALE “SUPERFICIALE” (o “non muscolo-invasivo”): la nuova denominazione si è resa necessaria poiché il termine “superficiale” induceva a credere che fosse “innocuo”. Questi tumori appresentano circa l’85% dei carcinomi della vescica e sono diagnosticati in uno stadio precoce. Il cancro è ancora limitato alla mucosa o allo strato interno del tessuto connettivo e non ha ancora invaso il muscolo della vescica.
- CARCINOMA UROTELIALE “INFILTRANTE” (o “muscolo-invasivo”): può estendersi localmente fino a invadere gli strati muscolari e l’intera parete vescicale. Negli stadi avanzati il carcinoma può estendersi agli organi vicini. Le cellule cancerose possono invadere i linfonodi vicini ed essere poi trasportate, attraverso il circolo sanguigno, in altri organi dove possono formare delle metastasi.
Questi due tipi di tumori vescicali, pur composti da cellule molto simili, sono tumori molto diversi per quanto riguarda il loro comportamento o - per aderire al gergo tecnico - la loro “storia naturale”, cioè la loro capacità di evoluzione e sviluppo. Il limite anatomico dello strato muscolare demarca, quasi sempre, questa distinzione in modo molto netto. La muscolare, in pratica, rappresenta una sorta di barriera biologica che separa i tumori superficiali da quelli infiltranti. I tumori superficiali assai spesso dimostrano le caratteristiche della malattia cronica in grado di auto mantenersi con la capacità di produrre numerose ricadute nel tempo, ma prive della capacità di invasione e di formazione di metastasi. Per contro, per motivi ancora non completamente noti, quando le cellule tumorali sono in grado di crescere all’interno dello strato muscolare hanno anche la capacità di infiltrare organi vicini e di spedire metastasi ai linfonodi e ad altri organi come il fegato, i polmoni, lo scheletro, eccetera. Questa distinzione è quella osservabile nella maggior parte dei casi, ma non è sempre così. In altre parole, è talvolta possibile che un tumore che insorge come superficiale possa acquisire nel corso del tempo la capacità di trasformarsi in un tumore infiltrante. E ancora, un tumore può esordire come superficiale, ma dimostrare di avere già le capacità di produrre la trasformazione da superficiale a infiltrante. Questo è un aspetto comune alla biologia della maggior parte dei tumori solidi e che, per restare nei tumori urologici, è comune anche al carcinoma della prostata. Più in generale in medicina, e in biologia, non esistono leggi né regole invariabili. Conviene guardare a questo tema tralasciando l’idea che i fenomeni che osserviamo siano tutti spiegabili con formule conosciute e che la loro evoluzione sia sempre prevedibile. Guardiamoci intorno, la biologia esprime una fantasia inesauribile e sorprendente; pensiamo alle numerosissime variabili del fenotipo (l'insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un organismo vivente) “normale” di una forma di vita. Nella biologia “normale” la natura dimostra creatività e questa capacità creativa è forse ancora maggiore nelle malattie, oncologiche in particolare.
Pertanto, in linea di massima, non esiste “il” tumore della vescica, che dimostra lo stesso andamento, lo stesso rischio di evoluzione, lo stesso comportamento in tutti i pazienti nei quali si sviluppa. Al contrario ogni caso che osserviamo rappresenta il risultato che la malattia determina in quel singolo paziente. In effetti, osserviamo l’interazione di due fattori: uno è il tumore e uno è “l’ospite”, ovvero il paziente in cui si manifesta. E il singolo paziente ha un profilo fortemente personale, basti pensare ad esempio ai fattori di rischio (abitudini e storia di fumo, di esposizione a sostanze tossiche, caratteristiche genetiche, ecc.), o al suo sistema immunitario, la capacità propria di “risposta” alle cure, e molte altre variabili.
Queste premesse possono servire per capire che i medici non sono in grado di prevedere il futuro clinico di un singolo paziente, per contro, sappiamo cosa succede in un gruppo immaginario di 100 pazienti in condizioni di malattia simili tra loro. Pertanto, a proposito di un singolo paziente possiamo raggiungere solo una precisione limitata, ovvero, possiamo esprimerci in termini di probabilità (statistiche) che un certo evento si verifichi, che una certa condizione sia presente, che un certo risultato della terapia sia ottenibile.