Tecniche Chirurgiche
La cistectomia radicale pur rappresentando notoriamente un intervento di chirurgia maggiore, di complessa esecuzione e gravata da numerose complicanze post-operatorie, rimane il trattamento elettivo sia delle neoplasie vescicali muscolo invasive che di quelle non muscolo invasive non più trattabili in maniera conservativa. Obiettivo primario della cistectomia radicale è la radicale eliminazione della neoplasia e la prevenzione di recidive locali o a distanza così da garantire la più lunga sopravvivenza possibile. Si tratta inevitabilmente di un intervento demolitivo che in genere influenza negativamente la qualità di vita post-operatoria del/della paziente. Negli ultimi anni quindi, accanto all’obiettivo di favorire una lunga sopravvivenza si è affiancato quello di preservare la migliore qualità di vita postoperatoria possibile.
Da qualche anno accanto alla chirurgia tradizionale si è affiancata quella robotica. Vediamo qui di seguito le principali differenze:
TRADIZIONALE (o A CIELO APERTO - OPEN - laparotomia o celiotomia)
In un’operazione a “cielo aperto” il chirurgo pratica un’incisione fino a 20 cm circa attraverso la pelle e gli strati sottostanti per raggiungere la zona da operare. Questa tecnica “classica”, continuamente perfezionata e migliorata, è quella maggiormente attuata per rimuovere la vescica e gli eventuali altri organi adiacenti (prostata e vescichette seminali negli uomini, utero e annessi nelle donne) in quanto per la difficoltà dell’intervento è necessario un ampio spazio chirurgico.
CHIRURGIA ROBOTICA
Nella chirurgia robotica, il chirurgo viene assistito da un robot mentre opera con tecnica endoscopica, cioè introduce i “bracci” del robot nel corpo attraverso piccole incisioni della pelle o un’apertura naturale per asportare il tessuto tumorale. I “bracci” sono dotati di videocamere che consentono di visualizzare il campo operatorio su uno schermo, in modo che il chirurgo possa sempre controllare la situazione, sedendo a una postazione di comando, da dove guida i bracci del robot durante l’intervento.
In entrambi i casi, va scelto un chirurgo di comprovata abilità ed esperienza, che abbia quindi un'ottima formazione e con un elevato numero di interventi eseguiti.
Se ci si vuole affidare a un chirurgo che utilizza la robotica, si dovrebbe prima verificare che abbia la necessaria esperienza ANCHE in chirurgia tradizionale, che abbia già eseguito centinaia di interventi robotici di chirurgia minore (vedi prostatectomie) ed effettuato uno specifico training in un centro specializzato per la cistectomia radicale con un chirurgo esperto.
L’utilizzo della robotica è stato introdotto nel 2008 e i chirurghi più abili in questa pratica appartengono alle nuove generazioni e pertanto con un numero d’interventi numericamente inferiori rispetto agli urologi che operano con metodo tradizionale.
Se praticata da un chirurgo esperto la robotica presenta diversi vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale: minore invasività, maggiore precisione, tempi di degenza più brevi, contenimento dei traumi postoperatori e più rapido accesso alle terapie di riabilitazione post chirurgia.
È opinione comune che il futuro vedrà assumere alla robotica un peso sempre più dominante nelle metodologie chirurgiche. Tuttavia, oggi è doveroso tenete presente che nel caso in cui il chirurgo robotico non abbia una comprovata esperienza di successi è meglio optare per un buon intervento" tradizionale" che per un cattivo intervento "robotico".
In questo contesto, si sono sempre più diffuse le tecniche chirurgiche di ricostruzione di una nuova vescica utilizzando un segmento ileale in modo da permettere una minzione per la via naturale evitando il ricorso ad una urostomia per la raccolta esterna delle urine.
Inoltre, mentre in passato si è sempre considerata la perdita della attività sessuale come una conseguenza inevitabile della cistectomia radicale, nel corso degli ultimi anni sono state introdotte delle tecniche di cistectomia cosiddette “nerve-sparing”, che permettono cioè la conservazione delle strutture anatomiche vascolari e nervose deputate all’attività sessuale. Nel maschio queste tecniche possono prevedere la conservazione, oltre che dei nervi dell’erezione, anche della capsula prostatica e/o delle vescicole seminali e nella femmina la conservazione dell’intera vagina e delle strutture nerveo-vascolari clitoridee. Gli interventi nerve-sparing, nati come procedure a cielo aperto, oggi possono essere eseguiti anche con tecnica robotica cioè con l’ulteriore vantaggio di un approccio minimamente invasivo. Queste procedure sono tuttavia indicate solo in un set di pazienti molto selezionati cioè giovani (< 65 anni), con normale attività sessuale preoperatoria e con una malattia strettamente confinata alla parete vescicale. Se questi criteri sono rispettati e la tecnica chirurgica è condotta con correttezza e precisione, la preservazione dell’attività sessuale post-operatoria spontanea è documentabile per oltre l’80% dei casi con una qualità globale di vita postoperatoria paragonabile a quella precedente all’intervento. Ad oggi tuttavia, benché altamente perfezionate e testate clinicamente, le tecniche di cistectomia nerve-sparing rimangono di pertinenza di pochi esperti chirurghi urologi e prerogativa di pochi centri urologici di riferimento ad alto volume chirurgico.
Gli interventi chirurgici di ricostruzione
Una volta asportata la vescica e i suoi organi adiacenti (prostata e vescicole seminali) il chirurgo si trova di fronte a soluzioni diverse per condurre l’urina all’esterno.
URETERO-CUTANEO-STOMIA
Iniziamo dalla più semplice, che si chiama uretero-cutaneo-stomia dove è previsto che ogni uretere venga cucito alla parete addominale. Il nome riassume gli aspetti essenziali di questa soluzione: ureteri portati all’esterno (la cute è la pelle). La parola stomia in greco significa bocca, il che allude alla piccola apertura che viene confezionata sulla pelle mediante punti di sutura e che rimane visibile come un bottone. Attraverso le stomie scola lentamente l’urina che il rene forma in modo continuo, ma non essendoci più la vescica viene meno anche la sua funzione di serbatoio. Ecco perché si rende necessario applicare un dispositivo di raccolta, un piccolo sacchetto, che viene fissato con adesivi alla cute della parete addominale in corrispondenza della stomia.
La soluzione che abbiamo descritto è la più semplice e viene utilizzata piuttosto di rado, principalmente quando le condizioni del paziente - sue condizioni generali e stato del tumore - non permettono le altre derivazioni urinarie, così si chiamano gli “impianti idraulici” che descriviamo qui di seguito.
URETERO-ILEO-CUTANEO-STOMIA
Si tratta dell’impiego di un breve condotto, un segmento di una quindicina di centimetri di intestino, che viene isolato dal resto della matassa intestinale per accogliere gli ureteri che vengono cuciti ad una sua estremità, mentre l’altra estremità viene cucita alla cute della parete dell’addome. In questo caso la stomia è una sola e serve per veicolare all’esterno l’urina di entrambi gli ureteri. Sulla pelle, quindi, è visibile un “bottone” di un paio di centimetri, posizionato generalmente un po’ sotto e un po’ più a destra dell’ombelico e sul quale si applicano placca e sacchetto, come descritto per la uretero-cutaneo-stomia. Questa tecnica, rispetto a alla precedente offre il vantaggio di comportare una sola sacca anziché due e lo svantaggio potenziale di dover utilizzare un segmento intestinale, pertanto di rendere l’intervento un po’ più impegnativo, come vedremo al momento di descrivere le complicanze.
L’uretero-ileo-cutaneo-stomia, o condotto ileale, è anche chiamato intervento di Bricker dal nome del chirurgo che lo ha studiato e introdotto negli Stati Uniti, nel dopoguerra. Da allora è la soluzione che è stata maggiormente praticata nel mondo per la sua semplicità ed è ampiamente collaudata.
SERBATOI CONTINENTI E DERIVAZIONI URINARIE INTESTINALI
Con gli impianti descritti sopra la qualità della vita dei pazienti destinati ad una cistectomia risente degli inconvenienti estetici e di “funzionamento” della placca e della sacca, pertanto della necessità continuativa della loro manutenzione quotidiana e della sostituzione periodica. Oltre a ciò sono possibili in varia misura fenomeni fastidiosi dovuti al rischio di aderenza non uniforme alla cute, al mal posizionamento, ai trafilaggi (perdite) di urina, all’irritazione della cute a ridosso della stomia ecc. E’ quindi intuitivo comprendere quanto la presenza di placca e sacca possano incidere sull’immagine di sé, sui rapporti sociali e sulla sensazione di benessere fisico ed emotivo. Allo scopo di evitare questa interferenza con la qualità della vita è possibile ricostruire una nuova vescica che svolga la funzione di immagazzinamento dell’urina e che permetta di essere svuotata con il controllo della volontà. In questo consistono le derivazioni urinarie intestinali, ovvero, serbatoi che si ottengono mediante l’impiego dell’intestino.
Queste nuove vesciche si confezionano isolando un segmento di intestino di una quarantina di centimetri e da questo tubo si ottiene una sacca, la neo-vescica, che ad una estremità si raccorda con ciascun uretere, e dall’altra si raccorda all’uretra. La sacca riceve l’urina dagli ureteri, si distende ed è continente perché viene appositamente lasciato intatto il muscolo sfintere uretrale, e poi si svuota come la vescica originaria sotto il controllo della volontà.
Ricordiamoci che lo sfintere uretrale avvolge la parte inferiore della vescica, dove si forma l’imbuto con l’uretra e, per l’esattezza, al di sotto del tratto di uretra che attraversa la prostata e può succedere che il tumore della vescica sia localizzato proprio in questa zona. In questi casi lasciare intatto il muscolo uretrale, necessario per la continenza della neo-vescica, espone al rischio di lasciare anche un residuo (microscopico) di malattia compromettendo l’obiettivo principale della cistectomia, e cioè asportare completamente il tumore. In questi casi è pur sempre possibile costruire una neo-vescica ma, anziché impiantarla nella sede della vescica nativa (nel nostro linguaggio neo-vescica orto topica), la si impianta in una posizione diversa da quella in cui si trovava la vescica nativa (neo-vescica etero topica). Per confezionare un nuovo serbatoio di questo tipo si utilizza l’ultimo segmento di piccolo intestino ed una porzione del grosso intestino, il colon destro. Nel tratto così utilizzato è presente una valvola che ha la funzione di impedire che il contenuto intestinale semiliquido refluisca di nuovo dal colon al piccolo intestino, la valvola ileo-cecale. E’ proprio questa valvola che, con pochi punti chirurgici di rinforzo applicati nel corso del confezionamento della neo-vescica, evita il reflusso dell’urina permettendo la continenza. Il segmento del piccolo intestino si applica alla parete dell’addome e viene cucito all’ombelico in modo da formare una stomia. Attraverso questa stomia ombelicale si introduce un catetere di gomma delicata che seguendo l’interno del breve tubo di piccolo intestino, attraversa la valvola ileo-cecale, raggiunge la neo-vescica formata dal colon e permette lo svuotamento dell’urina all’esterno. Ecco perché la definizione completa di questi serbatoi è: serbatoi continenti cateterizzabili. La manovra di cateterismo è semplice, ben più di quanto si possa immaginare da questa descrizione, ed è rapidamente apprendibile fin dalle prime volte che il paziente la pratica. Grazie alla continenza del serbatoio così confezionato non c’è bisogno di applicare placche e sacche esterne.
Il risultato di questa tecnica chirurgica è ampiamente compatibile con una vita normale; ad esempio, ci sono pazienti che fanno il bagno in mare o in piscina, altri che si cateterizzano nel bagno di un aereo o addirittura, come un paziente, pastore in Sardegna, che si porta un catetere arrotolato all’interno della coppola e si cateterizza senza scendere da cavallo!.
La scelta del tipo di ricostruzione comporta una decisione naturalmente individuale tra il paziente e il chirurgo e dipende da un complesso di fattori