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Le nostre Storie

L'intruso

Cancro, tumore, neoplasia, carcinoma... differenze scientifiche e sfumature lessicali in tutti questi nomi. Io l'ho chiamato l’”intruso” e forse l' intruso si era fatto notare da tempo, ma l'assunzione di anticoagulanti e una fastidiosa recidivante urosepsi sembravano giustificare le mie frequenti ematurie.

Dopo reiterati ricoveri e decine di esami, anche per la concomitanza di altre patologie... dopo una tranquillizzante Uro TAC effettuata ai primi di giugno, il ricorso al Pronto Soccorso, per improvvisa difficoltà di urinare, mi portò ad un esame istologico il cui esito confermava il sospetto emerso da una nuova TAC e tutto quello che già mi era stato anticipato dai medici del reparto di urologia dell’Ospedale di Cattinara a Trieste.

Posso dire che a 77 anni, di cui molti, anzi troppi, con severa esposizione all' amianto, mi attendevo un attacco ai polmoni e ad ogni dolore alle spalle temevo di dovermi aggiungere all' interminabile elenco di ufficiali e sottufficiali della Marina Militare affetti dalle drammatiche patologie correlate all' asbesto

Fui sorpreso, ma non spaventato, dal venir a sapere che c'era un intruso nella mia vescica, già infiltrato e in grado di farlo in modo ancora più aggressivo. La paura è un alleato che ti tiene lontano dal pericolo, in questo caso la paura non aveva senso e comunque la dovevo fronteggiare con disciplina, autodisciplina.

Preoccupato quindi, ma il commento con cui poi informai parenti e amici fu "NEVER SURRENDER"

Scoprii che esistevano soluzioni, scoprii che c'erano tecnologie di grande efficacia, vista l'inutilità di processi farmacologici e radiologici prospettatami.

Riassumendo il mio stato, valutai le tre possibili strade, la vita, infatti, è fatta di bivi e trivi, è la scelta che determina il nostro percorso e la durata del viaggio verso Itaca, quella cantata da Konstantinos Kavafis, quel viaggio che ti auguri sia molto lungo.

Prima opzione: non fare nulla, rassegnarsi, magari confidando in qualche 'miracolistica' pillola di cui si sente parlare. Attendere... sfidando il tempo e le percentuali della sopravvivenza, accettando il rischio, il dolore la progressiva ineluttabile decadenza fisica sino alla morte, probabilmente vicina vista la prossimità di organi vitali potenzialmente metastatizzatili.

Seconda opzione: affidarsi alle migliori tecniche disponibili, accettare la soluzione chirurgica che mi era stata puntualmente descritta in urologia anche se pesantemente invasiva. Cacciare l’intruso e non arrendersi a lui. Accettando in questo caso un qualcosa che non sarebbe stata una passeggiata.

Terza opzione: saltare giù dal sentiero Rilke, panoramica passeggiata che segue le falesie di Duino, vicino a casa, a picco sul mare e sugli scogli. Fuggire per paura o dimostrare un coraggio che non credo di avere. Da sempre mi sono posto una domanda: il suicidio è un atto di viltà e di paura o di coraggio?

Posta l'inaccettabilità della terza via, anche per la sua inutilità e per un reale timore di dovermi drammaticamente pentire in corso d’opera, restavano due possibilità e decisi, inevitabilmente, di affrontare una battaglia... sicuramente diversa da quelle per le quali ero addestrato dopo lunghi anni con i galloni della Marina Militare.

Cistoprostatectomia radicale, con linfadenectomia pelvica bilaterale, difficile anche da pronunciare e poi, rimosso il rimovibile vivere con una urostomia e qualche decina di centimetri di intestino adattati ad un mestiere che non è il loro.

Un po' in rete, se cerchi bene il dott. Google non racconta solo fandonie, un po' nel corso di una visita di ‘secondo parere’ al Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (PN) e poi in una lunga chiacchierata telefonica con Edoardo, di Palinuro cui si era rivolta mia moglie per maggiori informazioni sul mio possibile domani... scoprii che l’intervento poteva risultare molto meno invasivo se eseguito con tecnica robotica. La mia curiosità mi spinse ad approfondire la materia e incontrai Leonardo da Vinci, scoprendo che presso l'istituto Oncologico di Castelfranco Veneto usavano questa tecnica, contrariamente a Trieste dove, per ora, lo stesso dispositivo, pur disponibile, è usato solo per interventi alla prostata.

Feci una visita di ‘terzo parere’ col dott. Angelo Porreca direttore del Dipartimento di Urologia oncologica all' Ospedale San Giacomo di Castelfranco Veneto, e scelsi quella strada.

Rientrato a Trieste, dopo qualche giorno fui costretto a recarmi al Pronto Soccorso per aggiungere un bel catetere vescicale alla nefrostomia che già svuotava il rene destro in sofferenza. Durante il successivo breve ricovero informai di questa decisione il prof. Carlo Trombetta, direttore del SC (UCO) della Clinica urologica di Cattinara, spiegai le ragioni e aggiunsi che, in alternativa alla soluzione triestina, che prevedeva uteroileocutaneostomia, sarei uscito dallo IOV con una ureterocutaneostomia bilaterale, questo anche per ridurre possibili effetti collaterali del dover mettere le mani sull’intestino.

Non volevo che sembrasse un ‘tradimento’ o che la mia decisione fosse interpretata come sfiducia nei confronti di una struttura che mi ha sempre accudito e risanato egregiamente, con competenza, professionalità e cortesia a prescindere dal colore del camice e del ruolo. Abbandonavo le fatine con la bandana a fiori delle sale chirurgiche troppe volte frequentate, per incontrare le fatine venete.

La mia decisione fu totalmente condivisa dallo staff di Trieste anche se, a lucro di tempo, ero già stato sottoposto ai moduli preoperatori, nel caso si fosse reso necessario intervenire subito o l’attesa fosse andata oltre un limite di accettabilità.

A fine ottobre ripetei le stesse visite di pre-ospedalizzazione a Castelfranco e fui messo in lista d'attesa.
Non avevamo idea da quanto tempo l'intruso fosse entrato né con che rapidità potesse allungare le mani.

Sicuramente era catalogato e codificato come 'aggressivo'

Per questa ragione chiedemmo di verificare la possibilità di ridurre i tempi d'attesa e così fu: ricovero 12 dicembre, in Sala il giorno dopo. Una Santa Lucia da trascorrere a luce spenta dall' anestesia.

Inizialmente ero stato restio a far sapere del mio cancro, chiamiamolo col suo nome. Il rischio dell’oblio oncologico esisteva ed esiste, pur con le recenti disposizioni di legge finalmente approvate, un oblio che poteva compromettere alcuni rapporti di consulenza che mi tengono ancora attivo sul piano lavorativo. A qualcuno spiegai che era cancro, appunto, non lebbra.

Poi cambiai idea e volli condividere con tutti i miei interlocutori reali e virtuali l'avvicinamento al giorno dell’intervento, i miei pensieri, i dubbi... le paure nascoste.

Facebook e alcuni gruppi di Whatsapp, cui partecipo, divennero indispensabili, non per cercare il maggior numero di like sotto i miei post, ma per percepire la reale partecipazione e vicinanza di quelli che da tempo sembravano essere diventati veri amici, da aggiungere a quelli di sempre.

Nell' ultima settimana pubblicai un conto alla rovescia con il numero dei giorni mancanti, una musica e una breve frase o un motto adatti al momento

Serviva a distrarmi ad esorcizzare i dubbi, mentre mi organizzavo per la trasferta trevigiana, serviva ad acquisire notizia da chi aveva già incontrato Leonardo per risolvere problemi simili al mio.

La sera prima di partire evidenziai come venga il momento in cui vorresti sentire vicino, anche solo per un breve istante, chi con te ha condiviso emozioni e fatiche, vittorie e sconfitte, la gioia e la tristezza di una vita. Come venga il momento in cui vorresti   raccontare le tue paure mascherate di serenità, le tue speranze, velate dal dubbio e le tue fragili certezze e come venga il momento in cui attendi un sorriso, una parola, anche solo uno sguardo da portare con te a luce spenta, magari gli occhi dell’ anestesista.

La sera prima dell'intervento trovai simpatico citare Alessandro Manzoni... quando racconta che “il principe di Condè dormi profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi” per la quale aveva già impartito ogni necessaria disposizione.

Sveglia antelucana, mi torna in mente Iannacci: "sei minuti all' alba, no el gh' è gnanca ciàr"

Vedo Leonardo, mi sorprende quanto sia imponente, visto il lavoro che fa mi aspettavo qualcosa di molto più leggero, esile e sottile. Via vai di anestesisti e chirurghi. Lunga preparazione tra accessi in vena, elettrodi e armamentario vario. Un ultimo incrocio di sguardi. Mascherine che ti impongono di riconoscere dagli occhi chi ti sta accudendo.  Poi qualcuno mi spegne la luce.

Non ricordo mai i sogni fatti durante il sonno chirurgico. Un sonno che ti estranea e perdi la misura del tempo. Mi sveglio in rianimazione, monitorato. Ho ancora qualche tubo in gola. Chiedo a fatica l’ora. Mi rispondono "sono le otto"

Entrato alle sette, stimo siano le otto della sera, tra sala e terapia intensiva. Erano le otto del mattino del giorno dopo!

Nel tardo pomeriggio in reparto con flebo, drenaggio e con le due sacche appiccicate sulla pancia che dovrò imparare a gestire e quando lo avrò fatto vi prometto che questa mia nota avrà un seguito dedicato all’ argomento.

Antidolorifici e antibiotici, acqua di mare, che loro chiamano soluzione fisiologica, e un senso di serena stanchezza e grande tranquillità circondato da una gentilezza incredibile.

Con me c'è uno dei miei figli che mi ha accompagnato a Castelfranco, l'altro a casa con mia moglie, Fox e Cristel, i nostri due cani.

Digiuno prima, digiuno dopo... ho fame, ma ci sono abituato per le tante precedenti avventure chirurgiche.

Le urostomie sono due, il rene e l’uretere destri che si temeva potessero essere stati aggrediti non hanno evidenziato problemi, comunque l'istologico arriverà tra qualche giorno. Mi dico da solo “in bocca al lupo” e mi rispondo “viva il lupo”.

Vengo simpaticamente indottrinato su montaggio e smontaggio delle urostomie. Ma almeno nel primo periodo lascerò che sia un’infermiera, vicina di casa, ad occuparsene.

Operato mercoledì, risvegliato giovedì... venerdì mattina seduto e nel pomeriggio in piedi, due passi in corridoio. Un breve video che condivido con i miei compagni di Corso dell’Accademia di Livorno.

Non avrei mai pensato di recuperare così presto. Certo sono debole, la pressione sulle montagne russe, faccio fatica a scendere dal letto soprattutto per i tanti tubi e tubetti che mi hanno attaccato. Scherzando dico al medico che mi visita che è più facile armare lo spinnaker sotto Bora che districarsi con tre flebo, due sacche da letto e un drenaggio.

Sabato mi annunciano che domenica sarò dimesso. Per concomitanti impegni familiari di mio figlio, che è rientrato a Trieste, chiedo di poter procrastinare di un giorno, poi diventeranno due.

Viaggio di ritorno sdraiato con sedile completamente reclinato. Un pò di fastidio per un breve tratto di pavè. La pancia sobbalza i cinque punti di sutura tirano. Cinque, da dove sono uscite vescica, prostata e linfonodi più due a chiudere gli ingressi di Leonardo.

Ora sono a casa a riposo. Il 27 dicembre ritornerò allo IOV per una visita di controllo poi andrò a raccontare questa mia avventura agli amici dell’urologia di Cattinara, dove spero possano, quanto prima, impegnare Leonardo anche per interventi come il mio.

Ripenso a queste ultime settimane durante le quali, convinto che non sia dignitosa la resa e che si debba combattere per neutralizzare il nemico, anche a costo di pesanti sacrifici, ho atteso una battaglia che temevo più pesante.

Ripenso alla percezione d’essere ritornato bambino durante molte fasi del ricovero, un bimbo accudito in tutto e per tutto con dolcezza e gentilezza e mi sembra di poter dire, paradossalmente, che in ospedale, ancora una volta, mi son sentito rilassato e tranquillo. È stata comunque una bella avventura, l’importante è sempre il poterle raccontare queste avventure.

Ora posso continuare a considerare ogni giorno un giorno in più e non, come spesso si fa, un giorno in meno della vita. Giorni in più’ da condividere con la mia famiglia, e con la mia nipotina cui, con ottimistica presunzione, ho promesso di accompagnarla alla festa dei suoi 18 anni. Giorni in più per portare a termine quei progetti per i quali temevi non bastasse il tempo, perche bisogna avere sempre un progetto da realizzare, un obiettivo da raggiungere …altrimenti arrivi tropo presto a Itaca.

Due parole, infine, sulla Sanità veneta e giuliana. In carenza di organico, spesso con problemi logistici, sottoposti a turni stressanti, con pazienti talvolta impazienti esprimono sempre e comunque una potenzialità operativa che le rende una preziosa risorsa per le nostre regioni.

Trieste, 23 dicembre 2023                                                                                                                 Sergio Bisiani


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