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Intervista alla dottoressa Mariangela Mancini

Chi è la dottoressa Mariangela Mancini

Dopo essersi laureata in Medicina e Chirurgia e poi Specializzata in Chirurgia Generale presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, nel 1993 ha svolto una fellowship di 3 anni in Chirurgia Oncologica presso la University of Washington e il Fred Hutchinson Cancer Reseach Center, a Seattle. Washington (USA).  Successivamente ha iniziato a lavorare presso la Clinica Urologica dell’Azienda Ospedaliera Università di Padova, partecipando anche all’attività di ricerca urologica presso il VIMM (Venetian Institute of Molecular Medicine). Nel 2012 ha conseguito il titolo di Fellow dello European Board of Urology (F.E.B.U.). L’esperienza urologica si è arricchita negli anni successivi con un periodo di un anno svolto presso la Clinique St. Agostin, a Bordeaux (in Chirurgia Laparoscopica e Robotica Urologica) nel 2013. Ha lavorato nella Clinica Urologica di Padova fino al dicembre 2022.

Attualmente è Dirigente Medico presso la struttura complessa di Urologia dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina (ASU GI), Ospedale di Gorizia.

Le aree di maggiore interesse della dottoressa Mariangela Mancini sono rivolte alla chirurgia oncologica, per quanto riguarda i tumori urologici. Nell’ambito del tumore della vescica, è molto interessata alla cistectomia e alla ricostruzione con neovescica ileale ortotopica, in particolare con la VIP, Vescica Ileale Padovana, tecnica originale messa a punto già dagli anni 90 presso la Clinica Urologica di Padova. La tecnica ha subito negli anni modificazioni e adattamenti; la dottoressa mancini e’ particolarmente focalizzata sulla neovescica ortotopica femminile, soprattutto per la definizione delle tecniche ricostruttive a livello del pavimento pelvico. Le sono particolarmente a cuore le tecniche di ricostruzione nel prolasso del pavimento pelvico, nei casi anche più complessi, o nei casi di fistola vescico-vescicale o di altre fistole urologiche, o in caso di necessità di trattamento chirurgico dell’incontinenza urinaria maschile e femminile. Queste patologie, possono essere presenti anche come esiti di interventi demolitivi di chirurgia oncologica, e ad avere un impatto estremamente significativo sulla qualità della vita dei pazienti oncologici. Avere le capacità di risolvere anche questi problemi dei pazienti oncologici, e non solo quelli legati alla rimozione del tumore, è diventata una delle caratteristiche distintive della dottoressa Mancini.  A questo scopo, la dottoressa Mancini fa parte del Board della ERN eUROGEN (European Reference Network for Rare and Complex Urological Diseases and Conditions) una rete di clinici ed esperti che si occupa, tra l’altro, anche delle patologie complesse del pavimento pelvico, vescica e uretra che richiedono trattamento chirurgico altamente specializzato, oltre che di tumori urologici rari (tumori del pene, testicolo, surrene, sarcomi retroperitoneali o pelvici, tumori rari di rene e vescica). Infine, la dottoressa Mancini e’ attivamente impegnata come parte del Board Allargato di Women in Surgery Italia (WIS Italia), una associazione nazionale di donne chirurgo di varie specialità che opera per la promozione della professionalità chirurgica femminile e per la lotta al gender gap e discriminazione di genere in Chirurgia in Italia.

INTERVISTA

MEDICINA DI GENERE: LA CISTECTOMIA RADICALE NELLA DONNA.

Viviamo in un mondo talmente complesso e differenziato che per poterlo comprendere e vivere pienamente, abbiamo bisogno di competenze sempre più specialistiche. Questo vale per ogni campo o materia che ci circonda, dalla Cultura alla Tecnologia, dalla Giurisprudenza alla Economia, ecc. La Medicina non viene esclusa da questa logica. In Urologia, l’idea che tra maschio e femmina vi sia una profonda differenziazione (basti pensare che lo spessore della vescica di una donna è molto inferiore generalmente di quella di un uomo) prende sempre più piede. Da questa considerazione si evince che i comportamenti terapeutici in Medicina dovrebbero essere sempre più diversificati sulla base delle differenze di genere.
Di fatto è noto da tempo che alcuni tumori possono presentarsi in maniera diversa nell’uomo e nella donna. Questo, in relazione a diversi fattori, quali: incidenza, mortalità, patogenesi, progressione, efficacia della terapia ed effetti avversi della terapia, complicanze dopo l’intervento e impatto di queste sulla qualità della vita dei pazienti.

Nel tumore della vescica, che e’ una patologia più frequentemente maschile, ma ben presente anche nel sesso femminile (infatti, negli ultimi anni, soprattutto a causa del cambiamento degli stili di vita, l’incidenza del sesso femminile di tumore della vescica supera il 20% delle diagnosi annuali, con una tendenza crescente), la donna sembra invece essere più vulnerabile e piu’ esposta a discriminazione di genere, soprattutto per i ritardi nella diagnosi a causa di fattori confondenti come la sottostima delle perdite ematiche urinarie femminili, spesso interpretate come “cistiti emorragiche”, la cui sottovalutazione può portare a ritardi nella diagnosi di tumore della vescica nelle donne, con gravi conseguenze cliniche per le pazienti.

La dottoressa Mariangela Mancini in Italia sta cercando di spostare l’attenzione su questi temi, agendo un po’ da pioniere italiano in questa focalizzazione di genere in urologia oncologica.

Abbiamo avuto l'opportunità e il piacere di averla come relatrice al nostro VI Congresso e alla fine del suo intervento, che potete trovare integralmente sul nostro sito, le abbiamo fatto una breve intervista, la cui trascrizione riportiamo di seguito.

Dal momento che nelle sue aree d’interesse e specificità rientra la neovescica praticata sulla popolazione femminile ci può dire quali sono le grandi differenze che contraddistinguono il genere?

Le differenze sono fondamentalmente anatomiche: gli apparati genitali maschile e femminile e le strutture di sostegno che li avvolgono, sono completamente diversi nei due generi. Inoltre, gli eventi fisiologici durante la vita umana sono profondamente diversi: la donna ha delle sue peculiarità uniche del genere femminile che sono il ciclo mestruale, la gravidanza, i parti e la menopausa. Sono situazioni che possono indebolire il pavimento pelvico e gli apparati sfinterici; quindi, la donna è sicuramente più a rischio di incontinenza urinaria postoperatoria dopo neovescica, di fistole urologiche, e anche di prolasso degli organi pelvici.

Quali sono le maggiori complessità nella cistectomia radicale nella donna?

Anche qui la complessità è fondamentalmente di tipo anatomico e strutturale, perché gli organi genitali femminili, a differenza di quelli maschili, sono prevalentemente “interni”, localizzati all’interno della cavità addominopelvica: la vagina e l'utero sono interposti tra la vescica, anteriormente, e il retto, posteriormente, cosa che nell'uomo è diversa perché i genitali maschili sono prevalentemente esterni, si trovano fuori dalla cavità addominale. Nella dissezione chirurgica femminile durante la cistectomia, gli organi genitali femminili si localizzano al centro del campo chirurgico: nell’approccio classico, nella cistectomia radicale femminile vengono asportati, insieme alla vescica, l'utero, le ovaie, le tube e la parete vaginale anteriore, e tutto l’apparato sospensore di questi organi. Tuttavia, oggi possiamo, in casi selezionati e dove questo è possibile risparmiare questi organi per garantire una migliore qualità della vita alle donne dopo l'intervento. Nuovi avanzamenti tecnologici, come la chirurgia robotica, possono ridurre l’invasività dell’intervento e facilitare la visibilità e l’accuratezza durante la dissezione. Inoltre, un’altra importante innovazione nel campo del trattamento della neoplasia vescicale, la chemioterapia neoadiuvante (preoperatoria), può ridurre il volume del tumore in fase pre-chirurgica, e rendere possibili interventi meno demolitivi, con maggior risparmio delle strutture pelviche di supporto e degli organi genitali, dove possibile. Questo per le donne può essere di grande importanza.

Non disponiamo di dati statistici, ma attraverso i casi con cui ci confrontiamo stimiamo che circa il 50% delle donne a cui viene praticata una neovescica abbia problemi post-operatori permanenti legati a grave incontinenza o ipercontinenza. È possibile limitare queste problematiche? Se sì come?

È certamente possibile: diciamo che la neovescica femminile viene eseguita più raramente di quella maschile e che, quindi, sono poche le donne che vengono sottoposte a questo tipo di ricostruzione. I motivi di questo non sono sempre chiari, ma certamente sono legati anche al timore, da parte dei chirurghi, delle complicanze funzionali femminili dopo l’intervento. Le donne andrebbero adeguatamente valutate prima dell'intervento e adeguatamente seguite subito dopo, in modo da limitare e poter gestire precocemente le complicanze della neovescica, se presenti. E non solo: la fase chirurgica demolitiva della cistectomia nelle donne che vengono sottoposte alla ricostruzione della vescica deve essere fatta con grande accuratezza e sempre prestando la massima attenzione alla prevenzione dell'incontinenza urinaria e del prolasso postoperatorio. Se questi aspetti vengono rispettati, non c'è in linea di principio una assoluta controindicazione alla cistectomia femminile con ricostruzione di una neovescica. Bisogna però sottolineare come questi interventi debbano essere eseguiti in centri di riferimento, in cui i chirurghi abbiamo significativa esperienza con questo tipo di chirurgia, sia negli uomini che nelle donne e in cui sia presente anche un gruppo multidisciplinare per gestire al meglio le problematiche funzionali postoperatorie.

Quali sono le raccomandazioni che lei farebbe ad una donna che ha appena ricevuto una diagnosi di tumore di alto grado infiltrante della vescica? E quali sono gli argomenti che ritiene utile dire per darle fiducia nel suo percorso clinico?

Si tratta di una diagnosi molto, molto pesante, e questa persona va seguita in tempi rapidi, perché deve essere instradata al giusto percorso terapeutico senza perdita di tempo: è stato infatti dimostrato che in questi casi anche poche settimane di tempo sono cruciali per garantire un buon risultato del trattamento. Le raccomanderei di rivolgersi a un centro di esperienza nel trattamento della patologia vescicale. Un centro, cioè, dove ci siano persone che hanno trattato un alto numero di casi. In cui siano presenti chirurghi, oncologi, radioterapisti, infermieri specializzati e in cui ci sia un gruppo multidisciplinare nel quale la paziente possa venire valutata e inviata, dove indicato e dove si decida di procedere con una cistectomia, subito a chemioterapia neoadiuvante, che costituisce oggi una importante innovazione nel trattamento della neoplasia muscolo-invasiva della vescica; in cui ci siano chirurghi con esperienza in grado di eseguire con successo una cistectomia radicale, un intervento complesso e gravato da un alto numero di possibili complicanze, e poi chirurghi in grado di eseguire una adeguata derivazione urinaria, inclusa anche la neovescica ortotopica, sia maschile che femminile; in cui ci sia una preparazione nel personale e nei medici anche per la gestione della qualità della vita e delle patologie funzionali postoperatorie, soprattutto in ambito femminile, dove queste complicanze sono più pesanti. Inoltre, consiglierei a questa paziente di rivolgersi all’Associazione Palinuro per ottenere il loro supporto e per entrare in contatto con altri pazienti, perché la comunicazione tra pazienti in questi casi è importantissima e puo’ davvero salvare la vita, sia in senso fisico che psicologico e della salute mentale.

Nella donna ci sono criteri di scelta della derivazione più severi? e se sì, perché?

Si, le donne ricevono più spesso una derivazione esterna rispetto agli uomini. In parte perché la diagnosi, come abbiamo detto, è più tardiva e hanno malattie più avanzate, ma in parte anche per scelta dei chirurghi per paura dell’incontinenza urinaria o di altre complicanze post-operatorie più tipicamente femminili. Tuttavia, vorrei dare una speranza alle donne, ed invitarle a non rinunciare di principio alla possibilità di ricevere una neovescica invece di una derivazione esterna. Non dovrebbero più esistere controindicazioni assolute, decise a tavolino prima ancora di vedere la paziente. Bisogna valutare i singoli casi, mantenere una mente aperta, e provare ad offrire ad ogni donna il trattamento migliore e più vicino possibile a quello che lei desidera. Il tempo dei “NO” generalizzati, anche in campo chirurgico, è finito.


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